Berlino: illusione o realtà? Prospettive precarie sulla capitale tedesca

BerlinoGentrificationMARTEDÌ 23 LUGLIO NELL’AULA STUDI GALILEI ALLE ORE 20Disoccupazione, taglio dei servizi sociali, decurtazioni dei salari… le prospettive misere che ci attendono in questa Italia in crisi stanno spingendo sempre più molti di noi, giovani e meno giovani, lavoratori più o meno qualificati, a cercare all’estero una soluzione ai nostri problemi individuali. In una parola, a migrare.
Con la sua apparente capacità di reggere l’urto della crisi, se non addirittura uscirne rafforzata, la Germania si fa meta sempre più attraente. La sua capitale, Berlino, con la sua vita culturale, artistica e scientifica, il suo profilo internazionale, gli affitti più bassi tra le capitali europee, è diventata quindi destinazione ideale delle ondate migratorie di giovani lavoratori Greci, Spagnoli, Portoghesi, Italiani, etc.

Ma quanto è vero che a Berlino “puoi essere quello che vuoi”? Cosa significa nel concreto l’attraente “modello tedesco”? Chi ci guadagna e chi ci perde?

Tenteremo di rispondere a queste ed altre domande discutendo con due compagni, uno studente in Erasmus, una in cerca di lavoro, che hanno vissuto diversi mesi nella capitale tedesca. Parlando di lavoro, di affitti, di emigrazione ed immigrazione, con un occhio sempre teso alle forme in cui dalla massa di problemi individuali emergono azioni collettive tese a risolverli.

MARTEDÌ 23 LUGLIO NELL’AULA STUDI GALILEI ALLE ORE 20

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L’università aperta? aperta a chi?!

Oggi l’università di Padova è aperta. Nel senso che è aperta alle banche, alle catene di supermercati, ai consulenti finanziari, alle agenzie internali a qualcuno che si occupa di sementi e qualcuno di cose “spaziali”. L’università ci offre un occasione, quella di partecipare alla guerra fra poveri da una posizione un pochetto più alta, diciamo che ci propone di spare da un palchetto da sagra sugli altri che sul palchetto non ci stanno. Sempre sfruttati, umiliati, precari rimarremo ma sempre meglio degli sfigati la sotto! Noi però siamo quelli che stanno sotto e vi veniamo a raccontare che questo scalino su cui vi vogliono mettere è fatto di materiale assai scarso e potreste trovarvi da un giorno all’altro col sedere sulla nuda terra affianco a noi. Tanto vale unirsi già adesso per ribaltare questi finti vantaggi, questa concorrenza e guerra fra poveri! Know-Your-EnemyKnow-Your-Enemy

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Non lavoreremo per una ciotola di riso

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Inoltre mercoledì 15 i compagni interverranno alla trasmissione operaia Senza Padroni.

Sul sito dei ClashCityWorker si trovano i link a tutte le date e molte informazioni aggiuntive, su “Iniziativa Operaia” e la lotta nella fabbrica Chung Hong.

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Complici e solidali con Ex-cuem e Napoletani. #standup4excuem

ex_cuemRiportiamo qui il volantino, scritto unitariamente da alcune realtà Padovane, che verrà distribuito questa mattina al presidio in solidarietà con gli studenti manganellati in questi giorni da Milano a Napoli.

Gli studenti non devono stare in università”

lo sbirro a Milano

Apprendiamo in questi giorni, ancora una volta, qual’è l’essenza ultima delle politiche che i nostri rettori hanno deciso di adottare e mettere in atto nei confronti di noi studenti:

l’università non deve essere un luogo in cui possiamo incontrarci, discutere assieme, condividere delle riflessioni su ciò che studiamo o su quello che accade sotto i nostri occhi per poter dare una risposta collettiva.

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Cena, Libreremo e l’inizio di un (auto)inchiesta

GalileiCenaTelaL’università di Padova è in prima linea con spending review, infatti è il primo ateneo ad essersi adattato alle direttive ministeriali, con conseguenti aumenti delle tasse per i cosiddetti studenti non “meritevoli” in aggiunta al già applicato sistema del bonus/malus e ai vecchi (mica tanto). Il rettore ci precisa in una sua lettera che per tutti quegli studenti riconosciuti lavoratori, il nuovo provvedimento non prevede aumenti, anzi una riduzione della soglia per essere riconosciuti come tali, peccato che l’università riconosca questo status solo di fronte a contratti di lavoro regolari, che costituiscono l’eccezione più che la regola. Molto spesso per affrontare le spese crescenti (affitto, libri, cibo, etc…) siamo costretti ad accettare lavori in nero, a chiamata e sottopagati, tali da non permetterci l’accesso a tale status e contemporaneamente rallentare il nostro percorso di studi diventando demeritevoli.

Al tempo che il lavoro ci sottrae, le tempistiche serrate che l’università impone non sono certo rimedio. Attraverso i crediti, la religione del merito e della competizione, non fa altro che alimentare l’atomizzazione studentesca, la condizione in cui lo studente è solo, solo di fronte a esami, autorità, lavoro e ai problemi della vita quotidiana. Facendo così, l’intenzione è chiara: impedire la formazione di una dimensione collettiva e solidale, momenti in cui parlare dei disagi reali, scambiarsi gli appunti e confrontarsi su ciò che si studia, dai costi da sostenere, al padrone di casa che ti ruba la caparra…

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Presentazione “Movimenti Indisciplinati”

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La lotta dei richiedenti asilo è quella di tutti

Nello scenario della devastante crisi capitalistica i governi occidentali, hanno rilanciato un ciclo di guerre in Africa. La popolazione Maliana è solo l’ultima il cui sangue è stato nuovamente sacrificato sull’altare del profitto. Ma, prima dell’attuale intervento in Mali, un’ altra guerra ha costruito corpi e menti sofferenti tra coloro che sono nati in Mali e in molti altri paesi africani: stiamo parlando dell’ingresso a gamba tesa degli interessi occidentali nel mezzo delle rivolte del nord-Africa e del vicino Oriente, ovverosia la guerra in Libia.            La guerra “umanitaria” iniziata nella primavera del 2011, ha costretto migliaia e migliaia di lavoratori, originari di ogni parte d’Africa ed immigrati in Libia (dove riuscivano a portare a casa salari di più di 1000 dinari libici -circa 600€- con alloggio e utenze pagate e un costo della vita decisamente inferiore all’ Italia), a fuggire, quando non obbligati con la forza, attraverso il mediterraneo nuovamente fossa comune per i dannati della terra.

Nel 2011 sono arrivati in Italia circa diciottomila uomini e donne; le stesse istituzioni che li hanno costretti a giungere fin qui hanno deciso che sarebbero dovuti diventare carne fresca per i più svariati usi, dalle speculazioni politiche razziste al rinverdimento delle casse di “umanitarie” cooperative e di normali albergatori. Un flusso di denaro gigantesco (1mld e 300mln) ha visto come pretesto passivo la permanenza di migliaia di persone all’interno di un circuito di centri di accoglienza, strutture pubbliche e private, capannoni allestiti in condizioni pessime, il tutto in quadro normativo e operativo di emergenza. Ora il Governo dichiara chiusa l’emergenza: il 28 febbraio, quanti sono ancora all’interno dei campi (come li chiamano loro), dovranno ufficialmente abbandonare le strutture. In questi mesi di evidente inadeguatezza, malagestione, clientelarismo, untuosa carità e razzismo, le istituzioni (governo,comuni e prefetture) hanno provato a liquidare il problema cercando di dividere i rifugiati e richiedenti asilo, con processi di etnicizzazione (dalla separazione su base nazionale e etnica nelle strutture alle trattative separate) e cercando di proporre illusorie soluzioni individuali. Le organizzazioni, che hanno intascato 46€ al giorno per ogni richiedente asilo per quasi due anni e che avrebbero dovuto garantire corsi di lingua, inserimento abitativo e lavorativo, hanno invece solo rinvigorito i loro portafogli ed, al massimo, trasformato in problema di ordine pubblico le proteste e le rivendicazioni degli “ospiti”. Così è successo in occasione della sollevazione alla “Casa a Colori” di Padova per la quale cinque rifugiati, dopo essere stati in carcere, sono ora agli arresti domiciliari. Promettendo “buonuscite” di 500€, che suonano ridicole rispetto ai soldi già spesi in questi anni, e raccontando storie alquanto fantasiose sulle possibilità di movimento e le opportunità di lavoro nel resto d’Europa, prefetti e uffici comunali hanno spinto molti a uscire dalle strutture e spesso a partire per altri paesi. Molti di coloro che sono partiti hanno anche già fatto ritorno, rispediti, secondo le regole dell’accordo DublinoII, nel primo paese europeo su cui sono approdati; altri hanno iniziato un nuovo percorso di sofferenza nelle periferie europee, nei campi del sud italia, nelle stazioni e sotto i portici di molte città. Ora sono a disposizione dello sfruttamento più brutale che non poteva sperare in niente di meglio che in nuova forza-lavoro, prostrata da anni di inedia, resa fortemente ricattabile e che non ha avuto il modo di costruirsi reti di solidarietà, apprendere la lingua e gli strumenti giuridici di autodifesa.

C’é però chi non si è fatto illudere dalle false promesse istituzionali e a pochi giorni dal limite ultimo del 28 febbraio ha deciso di non abbandonare i luoghi che ha iniziato a conoscere, in cui ha stretto un minimo di relazioni sociali e in cui ha trovato qualche compagno, che invece che speculare sulla sua condizione vi ha visto la propria, presente o futura.

Non possiamo accettare che nuove migliaia di lavoratori finiscano ad ingrossare le fila del lavoro nero, sottopagato, ipersfruttato e pericoloso, perché questo significa peggiorare le condizioni di tutti i lavoratori, disoccupati o futuri tali, esasperando la competizione al ribasso che è protagonista della guerra fra poveri a cui vogliono costringerci. Ai presenti e futuri lavoratori immigrati in Italia, sta arrivando una grande forza dalle lotte nel settore della logistica, che hanno dimostrato che è possibile conquistarsi salari più dignitosi e diritti fino a ieri negati, resistendo a colossi del calibro di IKEA, favorendo processi di autorganizzazione e protagonismo dei lavoratori che con lo sciopero della logistica del Marzo prossimo proveranno a mettere alle strette un settore dove lo sfruttamento è intensissimo, il potere padronale grande e i profitti anche.

Il 23 Marzo poi sarà il ricatto della legge Bossi-Fini ad essere messo al centro della grande manifestazione di migranti che ci sarà a Bologna, ma già da ora non possiamo permettere che siano (non)soluzioni individuali a precipitare migliaia di lavoratori nelle condizioni disastrose in cui li vogliono padroni e Governo. In caso contrario la forza del movimento dei lavoratori immigrati verrà indebolito e così minore sarà la forza di chi ogni giorno lotta sul posto di lavoro, nei territori, nella difesa dagli sfratti e dagli sloggi, dei disoccupati e degli studenti, forza lavoro in formazione.

Prima del 28 febbraio, manifestazioni e momenti rappresentativi dovranno cercare di conquistare una proroga dell’accoglienza, ma in situazioni abitative che consentano ai rifugiati di emanciparsi dalle condizioni di dipendenza in cui le strutture assistenzialistiche li hanno costretti in questi mesi, quindi non presso quelle strutture ferreamente gestite dalle cooperative speculatrici, ma in alloggi sotto il diretto controllo dei rifugiati. Queste proroghe dovranno servire per organizzare la mutua solidarietà, la costruzione di reti di supporto e l’elaborazione di strategie di riappropriazione di spazi abbandonati nei quali sopperire alla necessità di un luogo in cui dormire riparati e porre le basi per riconquistarsi un esistenza sociale e politica.

Chiediamo a tutte le compagne e tutti compagni, ai lavoratori tutti, ai collettivi, alle organizzazioni non assistenziali animate da una vera solidarietà di classe di partecipare alle mobilitazioni e sostenere la lotta dei richiedenti asilo.

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Cena di solidarietà e convivialità.

AGGIORNAMENTO! Apprendiamo con felicità che sono stati scarcerati e messi agli arresti domiciliari.

Sono ancora in carcere accusati di sequestro di persona cinque delle decine di “ospiti” della Casa a Colori, che lo scorso sette gennaio hanno espresso la loro rabbia contro questa organizzazione della cosiddetta accoglienza, che li vede da quasi due anni prigionieri di strutture che non danno loro la possibilità di determinarsi, dopo essere stati espulsi o essere fuggiti dalla Libia a causa della guerra scatenata dalle potenze occidentali tra cui l’italia che è tornata a bombardare la libia 100 anni dopo la prima invasione coloniale.

Assieme agli altri rifugiati o richiedenti asilo provenienti dalla Libia, ma originari di altri paesi africani, con cui abbiamo organizzato alcune iniziative nelle ultime settimane, vogliamo esprimere la nostra solidarietà nei confronti degli incarcerati e avere alcuni momenti di discussione, riguardo al futuro di tutti. Il 28 febbraio infatti finisce il progetto di accoglienza che avrebbe dovuto fornire gli strumenti per l’emancipazione dei giovani lavoratori provenienti dalla libia e che invece li ha costretti ad anni di apatia ed elemosina. Le istituzioni in un ultimo tentativo di stravolgere la realtà e levarsi un problema che può diventare ingestibile, cercano di dividere i rifugiati offrendogli una miseria perché se ne vadano all’estero raccontando panzane sulle possibilità di lavoro. Mantenere l’unità costruitasi in questi mesi e rilanciare pratiche in cui gli immigrati siano protagonisti e padroni delle proprie esistenze è una necessità per tutti, italiani o immigrati, e le lotte degli ultimi mesi nella logistica ci hanno insegnato che è anche possibile.

5 persone sono ancora in carcere per essersi ribellate a condizioni terribili di impotenza

Ribellarsi alle condizioni in cui questo sistema ci costringe sarà sempre giusto.

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Le riappropriazioni continuano

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03/01/13 COMUNICATO SULLO SGOMBERO DELLA BARACCA OCCUPATA – PADOVA

Oggi 3 gennaio 2013 alle prime ore del mattino digos, polizia e operai, eseguendo la richiesta dell’università di Padova, hanno provveduto allo sgombero della Baracca RI-occupata. Lo stabile, di cui ci eravamo riappropriati lo scorso 27 novembre, è l’ex portineria della facoltà di Ingegneria e si trova in via Marzolo 9. Noi studenti e studentesse ci siamo impegnati da quel momento a risistemare e a rendere agibili questi spazi, chiusi e lasciati all’abbandono da oltre 7 anni. Attraverso le pratiche di autorganizzazione e autogestione abbiamo messo in piedi un’aula studio aperta dalle 8.00 alle 1.00, abbiamo costruito varie iniziative portate avanti collettivamente tra cui pranzi popolari, cineforum, spettacoli teatrali, e abbiamo riavviato percorsi politici che avevano visto la luce con la precedente esperienza di occupazione della Baracca.

In questa fase politica, caratterizzata da forte crisi economica, le vie d’uscita che la classe dominante mette in pratica sono sempre le stesse: manovre lacrime e sangue per scaricare i costi della stessa crisi sugli strati sociali più deboli. C’è chi non resta a subire passivamente tutto questo e, cercando di conquistare quanto necessario per soddisfare i propri bisogni, sceglie la via dell’autorganizzazione, mettendo così in discussione in maniera radicale la gestione delle vite di ognuno di noi, evidenziando le contraddizioni di un sistema dove pochi traggono profitto sulle spalle di una maggioranza sempre più sfruttata e ricattabile, ossia lavoratori -italiani e immigrati-, studenti, e in generale le classi popolari che vivono con le briciole della ricchezza da loro stessi prodotta.

Le studentesse e gli studenti che hanno portato avanti l’occupazione della Baracca hanno ben chiaro che la riappropriazione non è soltanto un metodo diretto per risolvere problemi pratici, come la mancanza di aule studio, ma è anche l’avvio di un percorso di lotta che rende possibile fare critica a questo tipo di sistema e che richiede di organizzarsi in maniera collettiva per creare dal basso alternative ai meccanismi che ci vengono imposti.

L’occupazione è un’esperienza che permette la crescita personale e collettiva di chi vi partecipa, e contribuisce a modificare i rapporti di forza tra chi vuole mantenere le cose come stanno e chi cerca di cambiarle.

Conscia di ciò, la classe dominante ha sempre maggiore esigenza di reprimere qualsiasi forma di autorganizzazione e di riappropriazione, come si è visto stamattina dentro all’università di Padova, e di denigrarla attraverso i giornali che, in maniera sensazionalistica, sono sempre pronti a creare lo spauracchio dell’estremista. Ma ormai, nei posti di lavoro, coi licenziamenti e le intimidazioni per chi rivendica i propri diritti; nelle case, con gli sfratti di chi non può più permettersi di pagare l’affitto; nelle piazze, con divieti e cariche della polizia durante le manifestazioni, sappiamo bene qual è la vera violenza.

Non possono esserci dunque che tali risposte ai tentativi di resistenza e alle conquiste di spazi e risorse dal basso e, consapevoli di questo, siamo ancora più convinti che i metodi di riappropriazione diretta sono giusti e devono essere portarti avanti.

Rilanciamo perciò la pratica dell’occupazione e della riappropriazione come principio per un cambiamento reale. Invitiamo tutti gli studenti e i vari collettivi a portarla avanti, autorganizzandosi. Confrontiamoci in un assemblea pubblica:

 

Sabato 5 gennaio 2013 ore 15.00

Davanti alla Baracca sgomberata (via Marzolo, 9)

Studenti e studentesse autorganizzati della Baracca

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